Biografia

Giovanni Molteni, (* 30.8.1898 Cantù, † 12.6.1990 Sorengo). Figlio di Giuseppe, negoziante di vini, e di Adelaide Arrigoni, si forma da autodidatta sotto la guida del pittore Ugo Bernasconi di Cantù. Stabilitosi a Milano verso il 1923, esegue studi anatomici presso l'ospedale e studia la tecnica dell'affresco con Enzo Morelli. Appassionato alpinista, nel 1926 intraprende un viaggio in Norvegia e nei mari artici e realizza paesaggi polari che presenta alla Galleria Micheli di Milano (1927). Nel 1928 raggiunge la spedizione di Umberto Nobile al Polo Nord, dove esegue 13 bozzetti che sviluppa in seguito in grandi tele, esposte alla Galleria Bardi di Milano (1928). Negli anni ’30 si divide tra Milano, il lago di Como e il lago di Garda. Partecipa regolarmente alle esposizioni della Permanente a Milano, tiene numerose mostre personali e compie alcuni viaggi, soprattutto a Parigi. Nel 1943, durante i bombardamenti di Milano, viene distrutto quasi interamente il suo studio. Nel 1948 presenta una personale alla galleria del Milione a Milano, accompagnata da una monografia curata da Carlo Carrà. In quel periodo è legato sentimentalmente alla poetessa Giovanna Avignano (Dadin),scomparsa nel 1951. Nel 1952 è chiamato a rappresentare l’Italia con Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Gino Severini e Arturo Tosi alla Rassegna internazionale dell'acquarello dal 1800 al 1950 a Delft. Nel 1954 sposa Giovanna von May e tiene la prima personale nel Ticino, alla Galleria Giardino di Lugano. Nel 1959 si trasferisce a Massagno. Nel 1961 espone per la prima volta a Parigi, da Bénézit. Dopo un biennio trascorso in Normandia (1964-66),si stabilisce a Gentilino. Negli anni successivi tiene diverse personali in Francia e partecipa regolarmente al Salon des Indépendants. Nel 1998 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, che conserva l’Archivio Giovanni Molteni, gli dedica una personale.

Il percorso artistico di Molteni si snoda lungo l'arco di quasi mezzo secolo. A Milano negli anni ’20 entra in contatto con il clima culturale del Novecento italiano e stringe amicizia con Carlo Carrà, Arturo Martini, Mario Sironi e Arturo Tosi. Se il rapporto con Martini e Sironi non si traduce in concrete influenze sul piano artistico, ai due novecentisti dell'ala più «pittoricista», Carrà e Tosi, lo accomunano le radici lombardo-ottocentesche e l’elaborazione di un linguaggio dalle valenze impressionistiche. Attraverso lo studio degli impressionisti, dei nabis e dei fauves – in particolare di Renoir, Bonnard e Matisse – Molteni elabora una cifra individuale contraddistinta dall’uso di toni chiari e luminosi, con esiti vicini alla poetica del chiarismo, movimento pittorico con cui viene sovente messo in relazione dalla critica. Esordisce con paesaggi lacustri e polari che lo rendono noto come «il pittore dell’Artide». Dalle sue scalate in montagna trae ispirazione per dipingere massi erratici: opere degli anni ’40 e ’50 che rivelano un’estrema ricerca compositiva e un carattere astratto. Molteni si esprime con la pittura ad olio, il disegno e, talvolta, con la pittura murale, ma predilige la tecnica dell’acquarello, che pratica a partire dagli anni ’40 con coerenza ed evoluzioni formali contenute. I paesaggi dipinti en plein air rivelano l’intensa esperienza emozionale dell’artista di fronte alla natura incontaminata, colta con uno sguardo acuto e sensibile: i boschi densi di umidità, gli alberi dissolti dal vento, le acque iridescenti e le dense coltri di nebbia sono resi con delicate trasparenze. Accanto al paesaggio è la figura femminile il soggetto più ricorrente nella vasta produzione dell’artista, in particolare il nudo, studiato nei suoi diversi atteggiamenti espressivi in composizioni con una o più figure.

Opere: Bellinzona, Collezione Repubblica e Cantone Ticino; Bellinzona, Museo Villa dei Cedri; Il caos, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre, Il battesimo di San Giovanni Battista, 1950 ca., affreschi, Carbonate, chiesa di S. Maria Assunta, battistero; Milano, Galleria d'arte moderna, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna.

Fonti: Bellinzona, Museo Villa dei Cedri, Fondazione Archivio Opera Artistica Giovanni Molteni, Archivio Giovanni Molteni, documentazione raccolta dall'artista, biblioteca personale, schedario delle opere.

Simona Martinoli, 2007

Link:

https://www.google.com/search?q=giovanni+molteni+artista&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=2ahUKEwjiyM3r387qAhUSXpoKHSA4ANIQ_AUoAXoECAsQAw&biw=1328&bih=714

https://www.google.com/search?q=giovanni+molteni+acquarelli&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=2ahUKEwjr18ql6M7qAhW0zMQBHfGUBlEQ_AUoAXoECAwQAw&biw=1328&bih=714

https://www.ticino-magazine.ch/imgsite/rubrica//Riviste/TM%20novembre-dicembre%202011%20LowRes.pdf

https://www.paginedarte.ch/catalogo/cataloghi/

https://www.fundraiso.ch/sponsor/fondazione-archivio-opera-artistica-giovanni-gianni-molteni-cantu-1898-sorengo-1990

https://lanostrastoria.ch/entries/0OYn1PyeXbK

 

 

 

Mare gelato - King's Bay, 1927

 

 

Esercizi di lettura d'immagini (XV)

di Paolo Blendinger

 

 

Questo paesaggio lacustre del 1927 di Giovanni Molteni (Cantù 1898-1990 Sorengo) ci propone una veduta, verosimilmente del lago di Garda, nella placida, silenziosa atmosfera crepuscolare in cui il cielo, ancora in luce, si riverbera sul lago col  fascio luminoso dei suoi ultimi raggi. Verso lo sfondo un doppio fondale, un pendio in controluce, calato in una penombra che lascia appena intuire la strada che lungo di esso sale e le ville disseminate sul suo percorso e oltre questa collina una montagna lambita dalla luce che sancora l'accarezza. Il luogo è calato in una visionarietà che è resta simbolista nel pieno del terzo decennio del secolo, una visionarietà che ci rende partecipi del fatto che la pittura di paesaggio è innanzitutto la resa di un luogo della mente, quello della coscienza, che per sua natura è distante dalla mera realtà, un confronto privilegiato per restituirci uno stato d’animo.

Va detto che in pittura ogni soggetto di per sé è astrazione e altro non può essere neanche nelle sue rese d’assoluta aderenza realistica, tanto che resta una componente fondamentale anche della fotografia e questo non solo perché si parla d’immagini che fissano, immobilizzano il dato reale che è sempre in movimento, ma anche per il semplice motivo che si tratta di un approccio personale, dunque oggetto di una scelta che determina l’inquadratura, il momento, il taglio compositivo. In questo dipinto il modello divisionista, ancora molto diffuso in Lombardia a quasi trent’anni dalla scomparsa di Giovanni Segantini (Arco di Trento 1858-1899 Schafberg),costituisce il riferimento privilegiato sia dal profilo compositivo, che stilistico.

L’impianto della composizione riporta all’ “Ave Maria a trasbordo” che Segantini dipinse sul lago di Pusiano, in una prima versione, nel 1882, poi ripresa nel 1886 affidandoci una della sue immagini più celebrate. Segantini, a sua volta era profondamente influenzato dal modello milletiano per cui occorre ritornare al modello dell’ “Angelus” del 1858/59, il dipinto che sul finire del XIX secolo era forse quello più riprodotto e conosciuto sul piano internazionale, un dipinto sociale che per i suoi contenuti permeati di una religiosità popolare si discostava da ogni rivendicazione di natura politica, dunque universalmente fruibile. Come in quei dipinti simile è la scelta di rendere un paesaggio al crepuscolo, un momento di passaggio, e simile è il punto di fuga a cui ogni singolo elemento descrittivo porta, in Millet e Segantini un campanile e qui, sembra, una torre medievale in collina. 

Prettamente segantiniano è il riflesso del cielo nell’acqua che propone una specularità compositiva in senso orizzontale sottolineata anche dalle rive dei laghi che si pongono sulla metà dell’opera, in Segantini leggermente sopra, in Molteni leggermente sotto.

Rispetto ai modelli citati egli lascia vuoto il primo piano – escludendo un triangolo di riva sulla sinistra che nella diagonale riporta alla montagna del fondo – dunque non affida l’immagine ad altro che alla suggestione paesistica in assoluta coerenza con il suo amore per la natura che lo vide raggiungere nel 1926 i mari artici nel Nord della Norvegia e due anni dopo la prima spedizione di Nobile nel circolo polare artico, o dipingere negli anni Trenta il Lyskamm nei pressi della sua vetta, o ancora negli anni Sessanta le falaises d`Étretat dal mare durante le basse maree.

Il  divisionismo svolto investe le parti poste in luce, dunque non tutto il dipinto è reso con quel tratteggio largo, aderente non tanto all’esempio segantiniano, ma alla lezione di Gaetano Previati (Ferrara 1852-1920 Lavagna) che fu il teorico di questa tecnica negli anni d’insegnamento a Brera e attraverso scritti quali “I prinicipii scientifici del Divisionismo” del 1906 o “Della pittura. Tecnica e arte” del 1913.

Stilisticamente Molteni da qui a poco convergerà su una posizione mediana fra il naturalismo e il chiarismo lombardi e più tardi, a partire dai tardi anni Cinquanta sulla grande tradizione impressionista e post-impressionista francese alla ricerca costante di una resa pittorica capace di cogliere e di rendere il principio vitale rappresentato dalla luce.

Mai, nella sua pittura verrà meno a quella visione simbolista così manifesta in questo dipinto – si confronti anche solo la chiusura ad arco del bordo superiore del dipinto – al punto che opere create a distanza di almeno un terzo di secolo da questa, come l’ “Heure bleue” – una veduta serale del lago di Muzzano, nei pressi di Lugano, su cui vive dalla fine degli anni Sessanta – ancora ne riporta l’essenza rendendoci lo stesso cielo pervaso da una luce gialla e la stessa resa di un paesaggio stemprato e scuro in controluce.

Allora, proprio per questa persistenza di un senso di melanconia e di silenzio della visione, possiamo rilevare l’aspetto più intimo della sua poesia visiva, esprimendo in ciò una profonda sensibilità in piena risonanza con poeti quali André Gide, che ebbe modo di frequentare e che in “Les Nourritures terrestres” del 1897 scrisse: “La mélanconie n’est que la ferveur retombée” 

Se ripercorriamo la storia di Molteni percepiamo questa profonda coerenza col proprio sentire: appartenente alla borghesia canturina si è formato da autodidatta sotto la guida di Ugo Bernasconi (Buenos Aires 1874-1960 Cantù). Giunto a Milano verso il 1923 ampliò le proprie conoscenze artistiche all’affresco seguito da Enzo Morelli (Bagnacavallo 1896-1976 Bogliaco del Garda). Dal primo maestro colse il gusto intimistico per una pittura sfumata, fatta rigorosamente dal vero con  tocchi leggeri, vibranti e suggestivi; dal secondo le rigorose leggi compositive. Ritroviamo quest’approccio al vero intatto e felicemente svolto nella sua pittura ad acquerello, una tecnica a lui consona che l’avrebbe collocato nel secondo dopoguerra tra gli acquerellisti italiani di spicco – la monografia dedicata all’acquerello di Giovanni Molteni, curata da Carlo Carrà per la personale alla galleria del Milione di Milano del 1948, ne da un preciso rendiconto –, continuatore della grande tradizione lombarda fin dai tempi della Scapigliatura e di cui la Società degli Acquerellisti Lombardi è stata l’autorevole portavoce a partire dal 1911. Stabilitosi a Lugano nel 1959 sposò Giovanna von May e qui rimase per il resto della sua vita escluso un soggiorno biennale a Étretat dal 1964 al 1966. In vita ha esposto in particolare in Italia, Svizzera, Francia.

Nel 1998 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, che conserva l’Archivio Giovanni Molteni, gli ha dedicato una retrospettiva, ma cìò non è bastato a far uscire l’artista lombardo da un progressivo oblio, e neanche l’autorevole analisi critica di Luigi Cavallo del 2019 ha smosso qualcosa.

Paolo Blendinger


Fotografie di MOLTENI Giovanni

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